NON TI SVEGLIARE – Valutazione Giuria Premio Calvino

La Valutazione della Giuria XXIII Premio Calvino

Ho completato la prima stesura del romanzo poco prima del termine di scadenza per la partecipazione al XXIII Premio Calvino, il più importante premio letterario in Italia per autori inediti. Era un azzardo, perchè il Premio non è per narrativa “di genere” ed il testo necessitava effettivamente di un po’ di lavoro ancora,  ma i  riscontri dei primi lettori erano fin troppo positivi e volevo assolutamente un parere “professionale” e distaccato. L’ho spedito il giorno della scadenza del termine, il manoscritto portava ancora il titolo provvisorio di “Killgatto”.

La soddisfazione di essere tra i “testi segnalati” è stata grandissima, il risultato ha superato ogni mia aspettativa. Il lavoro di esame e valutazione dei testi in concorso è notoriamente assai accurato e rigoroso. Mi interessava la “Scheda di Lettura”, ovvero la recensione critica del testo che il Comitato di Lettura del premio avrebbe fatto, non pensavo di avere qualche chance di piazzamento: il Premio Calvino è per narrativa più “seria“, impegnata tradizionale, non esattamente per “legal thriller all’italiana”.

Ricevuta finalmente la scheda di Lettura ho cambiato il titolo in Non ti svegliare (Killgatto proprio non era piaciuto) ed ho lavorato a lungo (accettando anche i suggerimenti dei “primi lettori”) per migliorare il testo. In particolare, tutta la prima parte è stata riscritta, velocizzata e resa più piacevole ed incalzante. Sono state risolte inoltre quelle piccole ingenuità in cui ero incappato nella prima stesura.

Ma allora, cos’era scritto nella fantomatica Scheda di Lettura? Eccola, è scritta a più mani e ve la allego, è la prima recensione “ufficiale” del romanzo:

I Valutazione Premio Calvino

Non è sempre così facile dire perché un giallo ci sia piaciuto. Di rado ciò dipende dalla trama. Abbiamo letto troppe storie di persone uccise da qualcuno per qualche motivo per essere autenticamente sorpresi; siamo ormai dei poliziotti consumati ad ogni ipotesi, delle anziane e ciniche signore sempre pronte a dire che, in fondo, doveva finire così. Tuttavia, ogni volta, siamo disponibili a seguire l’autore nel buio dell’incubo dell’assassino che non può sottrarsi a commettere l’ennesimo e definitivo atto criminale se solo ci siano offerti dei particolari convincenti che rendano suggestiva la nuova combinazione; la cornice è sempre più importante del quadro. La cornice ambientale che ci propone Stefano Visonà è costituita dal nordest ricco, la provincia vicentina. Anche la critica della società del nordest non è una novità. Ciò che la rende convincente è la capacità di raccontarla senza pregiudizi né frasi fatte. Una società di professionisti e industrie che vivono il loro denaro come un fatto, un destino privo di buon gusto, soltanto un percorso tra le ore lavorate e gli oggetti di consumo da acquistare, si tratta di una società senza autentiche possibilità di scelta, solo una condizione ormai naturale di un gruppo che non si pone domande e non vede oltre ciò che l’ambiente di provincia suggerisce, con una serenità che non basta definire inquietante perché è ormai un habitat naturale, un’acquisizione che prescinde dalla critica. In una società così, sembra di poter dire, è quasi sorprendente che i killer non siano più numerosi. Ma il talento di Visonà è proprio nel ricostruire un’azione in un ambiente, familiare sì, ma senza luoghi comuni fastidiosi. In un primo tempo, nell’atmosfera triste e nebbiosa di intelligenze isolate si presentano soltanto una serie di situazioni tra loro contemporanee, una donna che perde i sensi, un uomo che ha un incidente stradale con conseguente amnesia. Sono il paradigma della loro società, niente passato, presente tragico e futuro inesistente o insensato. Nello sviluppo della narrazione ci si interroga fino alla fine se il marito accusato sia o meno l’assassino, e se la sua amnesia sia autentica o no (visto che non lo è stata la sua vita). Altro elemento vincente è lo stile. La narrazione non sfugge mai al controllo dell’autore sia a livello di struttura che linguistico. Non mancano alcune ingenuità, ma non rovinano l’insieme. Interessante l’interpretazione del ruolo sociale delle onlus di assistenza ai tossicodipendenti o disabili.

II Valutazione Premio Calvino

Giallo ambientato nel Veneto di oggi, tra la provincia di Vivenza e quella di Verona, tra fabbriche, cittadine, paesi e villaggi residenziali. Suggestiva è l’attenzione alle atmosfere di una pianura invernale tra nebbie e limpidi giorni ventosi, con l’affiorare dei primi rilievi collinari e le montagne in lontananza, sia all’atmosfera delle piccole città, con le loro architetture, i palazzi storici, i luoghi di ritrovo. Nei protagonisti non c’è nostalgia per il passato, se non per una prima adolescenza ancora senza colpe, senza aver sperimentato il male. Né ci cono progetti per il futuro, solamente il tentativo di raggiungere obiettivi personali, di coerenza professionale, di sistemazione e di equilibrio affettivo. Un delitto ed un incidente aprono la narrazione che l’autore conduce con maestria, anche se con una certa lentezza iniziale. Poi, per molto tempo, in parallelo alla narrazione dei fatti della vita quotidiana dei personaggi e del protagonista in particolare, noi assistiamo alla ricostruzione dell’antefatto presentato ai giudici in una lunga confessione da parte di un personaggio che noi individueremo solo alla fine. A battersi per la ricerca della verità è un avvocato di quasi quaranta anni legato nell’adolescenza ai protagonisti della vicenda. Inconsueta è per l’Italia l’analisi delle dinamiche di un grande studio di avvocati, quasi una multinazionale, e dei suoi legami con il potere economico locale, sia quello delle cooperative sociali nate a fianco del tradizionale potere cattolico. La lingua è ricca, precisa, la scrittura elegante ma non eccessivamente ricercata, capace di aderire ad emozioni, paesaggi, riflessioni, incertezze con frasi brevi, quasi una scelta stilistica per cogliere meglio una realtà complessa, spesso scissa. Solo la confessione utilizza uno stile di narrazione senza spezzature che a volte appare un po’ monotono.

III Valutazione Premio Calvino

La trama è consistente, complessa, plausibile e alla fine anche sorprendente. Forse le motivazioni psicologiche che muovono il cattivo, l’assassino, lasciano un po’ perplessi, forse non sono così fortemente sostenibili dal punto di vista psicologico. Ma tant’è: nei gialli contemporanei è forse l’elemento meno sostenibile (vedi ad esempio Stieg Larsson). Ma la connessione delle azioni, le sequenze casuali, i raccordi tra i diversi momenti ed episodi sono limpidi e rigorosi. E certamente la plausibilità e la congruenza della vicenda è un pregio fondamentale di un giallo. Molto intrigante è anche la costruzione del racconto, ogni capitolo del quale inizia in modo erratico, con divagazioni riflessive o descrizioni d’ambiente che lasciano il lettore incerto sulla voce narrante – e creano un’ambientazione fascinosa nel tempo – atmosferico – e nello spazio – il Nordest. Perché in effetti si intersecano alcune voci narranti, con effetti spiazzanti per il lettore in attesa della soluzione dell’enigma. Per esempio la parte in corsivo si presenta subito come una dichiarazione al pm, ma di chi, quando, perché beh, fa parte della suspense. Ma c’è un’altra voce narrante, più sottilmente minacciosa… E poi, di grande effetto è il sottile gioco degli equivoci in cui il lettore inevitabilmente cade. Infine i personaggi: l’avvocato Gatto – le cui vicissitudini spiegano il titolo del libro, a nostro avviso non molto felice – è costruito secondo i moduli ormai consueti dell’investigatore in crisi. Però qui la crisi non è genericamente esistenziale, ma legata a fattori concreti e molto ben descritti: il passaggio dall’attività in uno studio legale tradizionale ad un grande studio modernissimo, all’americana, con un controllo ferreo dell’attività dei numerosi e specializzatissimi professionisti dipendenti. Oltre ad altri motivi che affondano nella sua adolescenza e che emergeranno in seguito. Comunque bel personaggio, umano nelle sue incertezze, non stucchevole. Più di maniera il detective privato all’italiana, ma ci sono alcune gustose notazioni dell’italico costume. Infine di grande impatto è la ricostruzione degli ambienti, fisici: il paesaggio del Nordest, ancora affascinante – per esempio la descrizione della campagna veneta cristallizzata nell’abbraccio della galaverna (che l’autore chiama caliverna) – ma totalmente antropizzato – per esempio la descrizione dei nuovi insediamenti di villette a schiera che sorgono dappertutto; e sociali: l’ambiente degli avvocati, la procura – le cui procedure sembrano di estrema, non italiana, durezza – le ong, mondo sotterraneo del Veneto, così collegato alle tradizioni del passato recente, ecc… In conclusione, un bel giallo, che, come spesso avviene per i gialli, lascia intravedere in controluce la rappresentazione calda della nostra società e dei suoi mutamenti.